Pellegrini in viaggio nel tempo
a cura di Federica Garofalo
Complice il Giubileo della Misericordia, il 2016 si avvia ad essere ricordato come l’Anno Nazionale dei Cammini: sono già più di nove milioni i pellegrini che da tutto il mondo sono giunti a Roma dall’inizio dell’anno giubilare.
Esistono, però, itinerari che negli ultimi anni stanno riscuotendo sempre più successo proprio perché fuori dalle rotte tradizionalmente associate ai grandi santuari nazionali: tra questi, un posto d’onore spetta senza dubbio alla cosiddetta “Via Francigena”, circuito di percorsi nato nel Medioevo che collega Roma con il Nord Europa, per consentire ai pellegrini provenienti da Inghilterra, Francia, Svizzera e Germania di recarsi a pregare sulle tombe degli Apostoli Pietro e Paolo nella Città Eterna. Questo circuito, che in verità consiste in un reticolo di vie, è stato riconosciuto come Itinerario Culturale dal Consiglio d’Europa 1994 e, nel 2004, come Grande Itinerario Culturale, ed è attualmente tutelato dall’ l’Associazione Europea delle Vie Francigene.
Un circuito che, di per sé, costituisce già in un certo senso una forma di rievocazione storica, e del quale il gruppo Gilda Historiae di Reggio Emilia capitanato da Francesca Baldassarri, in accordo con l’Associazione Europea delle Vie Francigene, ha pensato di sfruttare per un test di archeologia sperimentale in piena regola: un vero e proprio pellegrinaggio così come l’avrebbero affrontato dei pellegrini del XIV secolo, con abiti, attrezzature e mezzi dell’epoca. L’esperimento si è svolto tra il 24 e il 25 aprile scorso lungo i sentieri della Lunigiana toscana, da Pontremoli fino ad Aulla, attraverso il passo della Cisa, camminando sui tracciati antichi a volte con tanto di pavimentazione originale con tappe in pievi, borghi e castelli. L’intenzione era quella di mantenersi il più vicino possibile allo spirito del pellegrinaggio medievale, con un percorso medio di 15/17 Km al giorno e pernottamento negli ostelli.
Oltre alla Gilda Historiae hanno partecipato membri degli Ulrich von Starkenberg di Bolzano, della Compagnia del Drago Verde di Firenze, della Compagnia della Torlonga di Padova, degli Oste Malaspinaensis di Sarzana e dell’Associazione Collegium Lunae di Marina di Carrara.
In totale una ventina di persone hanno accettato la sfida. Quale sia stato il risultato lo abbiamo chiesto direttamente ad alcuni dei partecipanti:
«È stata un’esperienza magnifica, – esordisce entusiasta Valentina Nastasi della Compagnia del Drago Verde. – Le difficoltà che ho notato (il reperire e il trasporto del cibo e dell’acqua, la mancanza di servizi igienici, ecc) sono affrontabili con un buono spirito di adattamento, anche perché all’epoca avevano le stesse difficoltà, se non di più, dunque è giusto che anche per noi sia così. Sicuramente, non avendo noi moderni la stessa prestanza fisica, il percorso va adattato alle nostre esigenze. Personalmente non ho avvertito fastidi nell’usare abbigliamento ed equipaggiamento storico, forse anche perché il tempo è stato clemente, anzi, è stato per me più comodo di molte altre passeggiate in abiti moderni. In ogni caso la cosa che prevale e che mi porterò dentro saranno le emozioni: ad un certo punto, quando eravamo nel bosco, non sentivo alcun rumore moderno e tutto ciò che vedevo era la natura e persone come me in abiti medievali; ricordo di aver sollevato le braccia per guardarmele per qualche secondo ho avuto la sensazione di aver davvero viaggiato nel tempo. L’idea di percorrere quella via percorsa da così tanti pellegrini nei secoli mi ha fatto venire le lacrime agli occhi e sarò sempre grata per queste sensazioni. Sicuramente è un’esperienza da rifare e che consiglio a tutti gli appassionati.»
La guida del drappello era l’esperta Marta Cadonici, degli Oste Malaspinaensis: «Mi è piaciuto molto camminare con l’abito storico: l’abito storico ti fa muovere in modo diverso, ma per chi fa rievocazione non è una cosa strana, sono in realtà i nostri normali vestiti durante il fine settimana e quindi non ci impacciano minimamente, sollevare la gonna e il mantello, scostare il velo perché non si incastri in un ramo sono gesti per me naturali e però pieni di fascino. L’aspetto che più mi colpisce, ma come sempre in questo ambito, è che anche quando incontri persone completamente sconosciute il giorno prima, si instaura subito un senso appartenenza e di comunicazione facile e spontanea molto più spiccato rispetto a quello che si riscontro in altri ambiti: nella rievocazione è come se ci fosse qualcosa di più profondo, quello che interessa è fare una cosa insieme, una cosa anche semplice come una gita sui sentieri della Francigena, un week-end in un castello, andare tutti insieme a visitare una mostra dopo pranzo la domenica. Anche con le gonne lunghe ed il velo in testa, perché non vediamo la necessità di cambiarci, sono i nostri abiti normali e ci sembra normale che gli uomini ci aprano le porte e ci diano la mano per aiutarci a guadare il ruscello; non ne abbiamo bisogno e loro lo sanno, ma lo fanno ugualmente con naturalezza, anche se fino al giorno prima non avevamo mai parlato neanche su facebook. È stato piacevole e divertente anche ricevere complimenti da persone sconosciute che ci incrociavano, ci fermavano o addirittura fermavano la macchina e ci chiedevano informazioni; chiedevano di potersi fotografare con noi e tanti, tutti ci dicevano “Come siete belli!”, ” Che bello vedervi passeggiare per il paese!”. Questa è stata una cosa inaspettata: il piacere che abbiamo dato alle persone che abbiamo incontrato. Questo mi ha portato ad una piccola riflessione: chi ci ha incontrato si è imbattuto per caso in un pezzetto di storia e si è entusiasmato, dunque com’è possibile non rendersi conto che, in un paese come il nostro, dove non si può fare a meno di inciampare nelle storia ad ogni passo, la storia sia qualcosa di così poco considerato?»
Più inesperta, anche se non alle prime armi, era l’altoatesina Marina Mascher degli Urlich Von Starkemberg: «Questa è stata la mia prima esperienza sulla Francigena, anche se non la prima camminata in abiti storici: un’esperienza affascinante, da rifare. Bellissimo il rumore dello strascico dell’abito che passa sulle foglie e sul lastricato nei tratti di strada più intatti, in mezzo al bosco. Un abito che visto la pioggia che ci ha preceduto (e un pochino accompagnato, ma senza disturbarci) recava alla fine un alto orlo infangato che ho riportato orgogliosamente a casa. Certo, non è l’abbigliamento più comodo per affrontare una lunga marcia, ma si sposa benissimo al ritmo lento di una camminata tra i boschi, in cui sei in compagnia di altre persone ma anche e forse soprattutto dei tuoi pensieri. La cosa che più mi ha colpito dal punto di vista paesaggistico è stato uno scorcio da un ponte, il corso d’acqua che formava una cascatella, il verde in mille toni della vegetazione tutt’intorno: un istante e un luogo sospesi fuori da tempo. E poi qualche commento della gente “moderna”, che intrecciava il “siete matti” con il “che bello, mi piacerebbe farlo”. Per la prossima volta mi servirà una gerla per infilarci il mantello quando esce il sole: perché una prossima volta ci sarà senz’altro, mi auguro presto.»
«Non è la prima volta che ho preso parte a marce in abiti storici, – precisa dal canto suo il padovano Andrea Ferro della Compagnia della Torlonga: – da tre anni con la mia compagnia partecipo alla rievocazione della Battaglia di Castagnaro che comprende una marcia di avvicinamento al campo di battaglia di alcuni chilometri, in armatura ed in assetto da battaglia. Per quanto riguarda il pellegrinaggio posso dire che è stata un’esperienza molto interessante: dal lato umano, per i rapporti e le esperienze che si sono create con le persone. Alcune le conoscevo bene, altre solo di vista (incontrate in altre manifestazioni) ed altre ancora che non avevo mai conosciuto; comunque, però, proprio per la particolarità dell’evento, non equiparabile alle tradizionali manifestazioni rievocative, il dover stare a stretto contatto con le persone, il superare le “difficoltà” che si sono incontrate nel cammino come può essere un guado di un corso d’acqua, ma anche le semplici soste per riposarsi o rifocillarsi hanno creato sia rapporti sia momenti unici. Dal punto di vista culturale e paesaggistico il pellegrinaggio ha permesso di poter visitare luoghi unici e fuori dal tempo come la pieve e la chiesa di San Giorgio a Filattiera; i piccoli borghi che normalmente restano tagliati fuori dalle principali vie di comunicazione come il borgo di Vigolette con un magnifico incastellamento malaspiniano che, pur mantenendo la struttura originale, è stato trasformato in abitazioni private; oppure i borghi di Filetto, quello di Filattiera o quello di Malgrate con un imponente quanto maestoso castello, tutti quasi deserti e ben conservati tanto che se non fosse per le (poche) macchine e persone incontrate sembrava che il tempo si fosse fermato. Per non parlare dei lunghi tratti tra i boschi, la natura incontaminata, il silenzio totale che ho trovato solo nelle passeggiate in alta montagna e il poter camminare sulle stesse strade e a volte sulle stesse pietre della pavimentazione originale medievale hanno creato un’atmosfera quasi magica e sicuramente unica. In generale è stata un’esperienza che rifarei volentieri. Nonostante i diversi tratti di strada incontrati, dalle strade asfaltate ai sentieri appena accennati, dal lastricato medievale ai guadi dei corsi d’acqua, l’utilizzare un abbigliamento storico non mi ha creato nessun disagio; probabilmente sostituirei la gerla che mi sono portato con un più pratico, meno ingombrante e sicuramente più leggero tascapane. Per finire posso solo aggiungere che il ritornare alla “civiltà” dopo due giorni fuori dal tempo, tra il traffico e la modernità mi ha lasciato quasi infastidito; ma il pellegrinaggio era ormai finito ed era ora di tornare a casa…»
A detta di Francesca Baldassarri, però, questo piccolo tratto di strada è solo l’inizio: l’obiettivo sarebbe arrivare almeno ad Altopascio. Se non addirittura a Roma… Insomma, il viaggio continua.
Per saperne di più:
Vie Francigene ;Starkenberg; Drago verde Firenze; Compagnia della Torlonga; Oste Malaspinaensis; Collegium Lunae