di Federica Garofalo
Longobardi per l’Italia, parte 2
Chi più chi meno, tutti abbiamo letto sui libri di scuola questa data: 568 d.C., l’anno in cui i Longobardi di Alboino valicano le Alpi Giulie e fondano il loro primo dominio, il ducato di Cividale del Friuli.
E proprio a questo primo insediamento che, di fatto, segnò, almeno in Italia, lo spartiacque tra il Tardoantico e l’Alto Medioevo, il gruppo di Living History La Fara di Cividale ha dedicato l’evento tenutosi tra il 30 e il 31 maggio, intitolato forse non a caso Anno Domini 568. Cividale primo Ducato.
Due giorni che gli organizzatori preferiscono definire, più che “rievocazione”, “manifestazione storico-rievocativa”. Anzi, il presidente del gruppo La Fara, Gabriele Zorzi, ama presentare la sua creatura in un modo abbastanza particolare: «Un mezzo passo più lungo della gamba con colpo di reni finale».
“Mezzo passo”, per fortuna: questo perché, a Cividale, la mostra sui Longobardi del 1990 e l’inserimento del sito nel circuito Italia Langobardorum dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, hanno fatto sì che l’interesse per i Longobardi restasse in qualche modo radicato nel territorio, e dunque che la gente del posto fosse più ricettiva che altrove.
Questo non significa, però, che mettere in piedi un evento dal nulla e portarlo avanti per tre anni sia propriamente una passeggiata, come ci spiega lo stesso Gabriele Zorzi:
«Quando, nel 2013, abbiamo creato Anno Domini 568, il nostro gruppo, al terzo anno di vita, era un pesce fuor d’acqua: a quei tempi, i gruppi di Living History sull’Alto Medioevo si contavano sulle dita di una mano rispetto alla folla che si concentrava sul Basso Medioevo. Il che voleva dire essere quasi sempre tagliati fuori dagli eventi, almeno in Italia. Contemporaneamente, però, avevamo fatto delle esperienze all’estero, soprattutto in Germania e in Austria, ed eravamo entrati in contatto con un modo completamente diverso di fare rievocazione storica: lì, ad esempio, è molto diffusa la formula del villaggio ricostruttivo, ossia la ricostruzione esatta di un villaggio altomedievale, con tutti i rievocatori impegnati nelle attività di vita quotidiana e nei lavori artigianali, dando davvero al visitatore l’impressione di tornare indietro nel tempo. Era esattamente questo ciò che noi intendiamo per Living History, e allora abbiamo pensato: perché non realizzare qualcosa di simile anche in Italia?».
L’idea è stata dunque quella di affiancare un campo storico, allestito a Belvedere sul Natisone e interamente utilizzato per attività ricostruttive a tuttotondo, a un vero e proprio convegno scientifico all’interno del Museo Archeologico Nazionale di Cividale; e, quest’anno c’è stato anche un piccolo extra, con la conferenza della storica Elena Percivaldi al tempietto longobardo. E forse non a caso il titolo del convegno di quest’anno era “Dalla produzione nell’Italia longobarda alla riproduzione nella rievocazione storica”; ovvero, per dirla in breve, le attività artigianali così come emergono dai reperti archeologici e com’è possibile ricostruirli attraverso l’archeologia sperimentale praticata dai rievocatori.
Due tipi di linguaggio che è non solo possibile ma anche doveroso conciliare, come sottolinea con forza uno dei relatori di maggiore spicco, presenza fissa all’evento fin dalla prima edizione: Marco Valenti, non solo docente di Archeologia Medievale all’Università di Siena, ma anche fondatore dell’Archeodromo di Poggibonsi e ispiratore del progetto EMAIA (Early Middle Ages In Action).
«Nonostante i luoghi comuni portati avanti dai mass media, l’archeologia non è più considerata qualcosa di elitario ormai da oltre mezzo secolo. L’archeologia è e deve essere sempre pubblica: raccontare storie, divulgarle, renderle occasione per valorizzare un territorio e creare economia costituisce l’ultimo step del mestiere dell’archeologo; significa fare il proprio lavoro sino in fondo. Chi fa il mio mestiere non è ostico verso il reenactment; io stesso lo pratico, all’interno dell’Archeodromo di Poggibonsi. La living history in proposito può costituire uno strumento formidabile per far immergere letteralmente il visitatore nelle situazioni e nelle emozioni del passato, mostrando la materialità della storia. Il vero rievocatore, però, deve studiare costantemente, confrontarsi con la ricerca, sperimentare, conoscere veramente il periodo che rievoca. Il livello deve e dovrà crescere se si vuole che la rievocazione entri a pieno titolo nella valorizzazione dei beni culturali e del patrimonio. La conoscenza costa fatica; ma è necessaria se si vuole fare davvero il salto di qualità. E il progetto EMAIA va esattamente nella direzione di cercare di innalzare la qualità dei reenactors. Non è un caso che nei documenti da noi editati ci siano delle sezioni che s’intitolano “doveri verso le fonti” e “doveri verso il pubblico”».
Teoria e materialità al servizio della storia, dunque, e non “a compartimenti stagno”: i due aspetti si sono intersecati anche negli stessi momenti, con rievocatori in abito storico impegnati in interventi scientifici a tutti gli effetti, sia durante il convegno sia nel campo storico, con tanto di dimostrazioni dal vivo, come quella di Irene Barbina di La Fara, che, partendo dai frammenti tessili rinvenuti in una tomba, ha illustrato le tecniche di “sartoria altomedievale”; o come la conferenza bilingue al campo storico su moda e armamenti in epoca merovingia, a cura dell’associazione svizzero-tedesca Hedningar.
E la risposta del pubblico è stata ampiamente positiva, come nota Gabriele Zorzi:
«La difficoltà maggiore, paradossalmente, è raggiungere il pubblico locale, non essendo abituato ai nostri canali di pubblicità (principalmente i social network). Il dialogo costante con le istituzioni museali e con il mondo accademico, però, sta dando i suoi frutti, e A.D. 568 sta diventando un appuntamento fisso. Anche perché lavoriamo per e sul territorio, cercando di coinvolgerlo attivamente e valorizzarne le tipicità. Ad esempio, uno dei nostri metodi di autofinanziamento è il crowdfunding attraverso una piattaforma messaci a disposizione dalla Banca di Cividale; inoltre coinvolgiamo realtà enogastronomiche e artigianali locali, singoli o associazioni, come l’orefice Mazzola cui ogni anno affidiamo la confezione dell’omaggio per i relatori del convegno».
A confermare la crescita di A.D. 568 è lo stesso prof. Valenti:
«L’evento era già partito da una buona base. La qualità di La Fara è stata decisiva affinché le istituzioni decidessero di appoggiarlo ed entrare nella sua organizzazione. E questo non è un fatto trascurabile; un importante museo viene convinto dall’idea di un gruppo di reenactors e decide non solo di essere compartecipe dell’evento ma di accogliere le attività di La Fara all’interno delle iniziative in calendario nel museo stesso. Il tono il convegno a essa collegato di è alzato di molto, proprio con l’ingresso del Museo Archeologico Nazionale e la stessa presenza dei gruppi rievocativi. La divulgazione è sempre in crescita se si lega alla ricerca e si confronta con chi fa la ricerca di mestiere; La Fara e i gruppi invitati, in particolare in quest’ultima edizione, costituiscono a parer mio il più alto livello sinora raggiunto in Italia per l’alto medioevo. D’altronde La Fara, così come gli amici di Fortebraccio Veregrense, partecipano con continuità anche alle attività dell’Archeodromo. Ed EMAIA, della quale questi soggetti fanno parte, certifica molte delle iniziative svolte da La Fara, compreso A.D. 568».
… continua