LO SPETTACOLO DELLA FILOSOFIA
Theatrum di Luce e di Pensiero
(di Daniele Robazza)
Dalla seconda metà del Cinquecento, THEATRUM è parola che spesso ricorre nei titoli dei libri più diversi, ad indicare il libro come luogo in cui si contiene e si ordina un certo sapere che si rifà al TEATRO DELLA MEMORIA e al TEATRO DEL MONDO. E nel Tempo che segnò del “paganesimo antico” la sua rinascita e così il suo ritorno: “Qui Teatro non è più il luogo degli spettacoli, ma diventa il luogo dell’immaginario, in cui il molteplice e l’inafferrabile, il fenomenico, si struttura e si ordina”[1].
Nel “RIEVOCARE UNA CIVILTÀ” il cui Spirito, ha saputo riconoscere alla poesia, alla storia, all’eloquenza, alla filosofia, alle arti e alla ricerca, un valore e una funzione “essenziali” per ciò che l’uomo è e veramente deve essere, compito del “Theatrum” è in attualità, bellezza e tradizione, “EVOCARE LO SPIRITO” di una società che ha fatto del Bello e della sua Visione [Aisthesis], il principio ispiratore della Civiltà.
“[…] Dove comanda l’arte la valgono le LEGGI DELLA BELLEZZA e i limiti della realtà vengono superati […] È il REGNO IDEALE che va difeso contro tutte le limitazioni, anche contro la tutela moralistica che pretendono di esercitare su di esso lo stato e la società”[2].
È questi il mondo ed il momento della RELIGIONE DELLA BELLEZZA, Visione che considera il BELLO non come un “prodotto della civiltà”, ma piuttosto “la civiltà come un prodotto dell’attività artistica”. Rievocare & Evocare con il linguaggio della POESIA e delle “LIBERE ARTI”, quel potere che del Bello è il sapere di un di per sempre possibile “incontro”, ascoltando e mirando [“Paseggiando” direbbe Franco Arminio][3], è un continuo lavoro di MESSA IN LUCE PER IL PRESENTE del significato proprio del passato.
Nell’ermeneutico “CIRCOLO” del pensiero come della storia, tra una domanda e una risposta, impariamo ad ascoltare quel “SILENZIO” che della Verità come della Bellezza, è LA VOCE PIÙ GRANDE [“Mutae Mortis Magna Vox”]. Nell’esperibile “occasionalità” di SENTIRSI IN RELAZIONE con qualcosa o con qualcuno, anche nell’evidente “realtà” di un’inevitabile decadenza, nel citare e come ha scritto Hans-Georg Gadamer:
“[…] Per quanto inaspettata possa essere, la BELLEZZA è come una garanzia che, in tutto il disordine del reale, in tutte le sue incompiutezze, cattiverie e storture, parzialità, in tutti i suoi fatali sconvolgimenti, il VERO pur tuttavia non resti irraggiungibilmente lontano, ma ci si faccia incontro”[4].
E come l’Anima, nel parafrasare Platone, partecipa dell’Idea della Vita per cui ad essa in quanto Principio di Natura dobbiamo volgere il nostro sguardo, nella “ragione-religione” di un fare il cui piacere risiede nello STABILIRE RELAZIONI a partire da un “rapporto intimo e diretto con la fonte”, nel guardare a uomini e cose, come ci ricorda Warburg: “Lo storico non deve considerare alcuna sfera d’esistenza tanto bassa, tanto oscura o tanto effimera da non poter offrire testimonianza […] I resti privi di vita che sono l’unico materiale di lavoro dello storico, dovrebbero essere interpretati come residui di relazioni umane, cioè di relazioni di uomini e di donne vivi a quella realtà mutevole ed evanescente”[5].
“[…] Le opere delle muse sono ora quello che già erano per noi: bei frutti staccati dall’albero, frutti che un destino amico ci ha dati in offerta, allo stesso modo in cui una fanciulla sa presentarli […]
Non c’è più la vita reale della loro esistenza, non c’è più l’albero su cui erano cresciuti, non la terra né gli elementi che costituivano la loro sostanza, né il clima che contribuiva alla loro determinatezza, né, infine, l’alternarsi delle stagioni che governavano il processo del loro divenire […]
Così con le opere di quell’arte, il destino non ce ne restituisce il mondo, non ci dà la primavera e l’estate della vita etica in cui fiorirono e maturarono, ma ci lascia soltanto il velato ricordo di quella realtà”[6].
Ove la ricostruzione delle condizioni originarie, come ogni altro tipo di “restaurazione”, si rivela un’impresa destinata allo scacco, tra Estraneità & Identità, l’incontro con il linguaggio dell’opera d’arte è necessariamente un problema di MEDIAZIONE fra il mondo originario dell’opera e il mondo dell’interprete-fruitore. In accordo con il “modello integrazionistico” di hegeliana enunciazione, tra Passato & Presente, l’essenza dello “SPIRITO STORICO” rivendica la presenza del soggetto/spettatore al GIOCO DELLA COMPRENSIONE.
Nel riconoscere il THEATRUM come “insieme di relazioni” ed il BELLO, come “ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l’idea di rapporti”[7], il nostro “guardare” non si esplica nell’univoca ricerca di un senso/tempo perduto, ma nella dialettica Arte che della domanda, è aprire delle possibilità e mantenerle aperte.
E se in potenzialità come in bellezza, “scrivere nelle Anime degli uomini” era il senso e la ragione del fare platonico, nel guardare all’INUTILITÀ che del Bello, è il “preferibile per sé stesso e non riguardato come mezzo in vista di altro”, è con il “LINGUAGGIO DEGLI AMANTI” [“Pensiero per immagini”] che si vuole in opera d’arte e d’artificio, ILLUMINARE la storicità e la vivacità dell’umana creazione.
[1] F. Cruciani e D. Seragnoli, Il teatro italiano nel Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1987, “Introduzione”, p. 24
[2] Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, Milano, ed. Bompiani, 2001, “il problema della verità dell’arte”, p. 189
[3] Franco Arminio, Geografia commossa dell’Italia intera, Milano, Bruno Mondadori, 2013
[4] Hans-Georg Gadamer, L’attualità del bello, Genova, Marietti, 1986, “Arte come gioco, simbolo e festa”, p. 17
[5] Aby Warburg, La rinascita del paganesimo antico, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1996, “Introduzione di Gertrud Bing”, pp. XVIII-XIX
[6] Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo, op., “Conseguenze estetiche ed ermeneutiche”, p. 359-61 [Hegel, Phänomenologie des Geistes, ed. Hoffmeister, p. 524]
[7] Paolo Gozza e Antonio Serravezza, Estetica e musica: L’origine di un incontro, Bologna, CLUEB, 2004, “Le radici musicali dell’estetica”, p. 19 [D. DIDEROT, Trattato sul bello, p. 52]