di Federica Garofalo
200.000 pellegrini che ogni anno sono pronti ad affrontare quasi ottocento chilometri a piedi, tra Francia e Spagna, dichiarano che il Cammino di Santiago di Compostela, dopo più di ottocento anni, gode ancora di ottima salute. Veder affrontare quel mese e più di cammino da due rievocatrici in abito trecentesco, con tanto di asino “portabagagli”, è invece molto più insolito, e non può non suscitare curiosità.
È un’impresa che ha impegnato, tra il 16 settembre e il 28 ottobre 2018, l’Emiliana Francesca Baldassari del gruppo Gilda Historiae e l’Altoatesina Marina Mascher del gruppo Ulrich von Starkenberg, amiche di lunga data oltre che colleghe, con in più Todra, il compagno di viaggio a quattro zampe, proveniente da una fattoria didattica nei Pirenei; impresa che Francesca e Marina hanno condiviso con il mondo giorno per giorno attraverso il blog “Due donne e un asino”, un vero e proprio diario di viaggio digitale.
Ma cosa le ha spinte ad imbarcarsi in quella che agli occhi di molti può sembrare una vera e propria follia? «Realizzare il sogno di mio marito Achille, oggi non più tra noi, – ci confessa Marina. – Da molto tempo egli programmava di intraprendere il Cammino di Santiago in abiti storici, con tanto di carro trainato dai buoi. Purtroppo è morto prima di vedere concretizzato il suo progetto, ma io e Francesca ci siamo incaricate di portarlo avanti, anche in onore di Achille. Naturalmente abbiamo dovuto accettare dei cambiamenti di programma: ad esempio, un carro trainato da buoi era decisamente troppo impegnativo per due persone sole.»
È stata Francesca ad aver avuto l’idea dell’asino. «Fin da piccola, sono abituata ad avere a che fare con i cavalli, e un asino non è molto diverso, – spiega. – Nonostante l’apparenza, gli asini sono molto indipendenti: certo, vanno strigliati mattina e sera, necessitano di tanta erbetta fresca, e bisogna portarsi sempre dietro un secchio per farli bere e paletta e sacchetti per i bisognini. Sono comunque animali docili, intelligenti e più forti di quanto non sembri, i nostri 40 Kg di bagaglio per loro sono una bazzecola. In più il nostro era un esperto, aveva già fatto due volte il Cammino di Santiago in un anno: conosceva la strada così bene che a volte eravamo noi ad andare dietro a lui, conosceva i punti di sosta. I proprietari ci hanno perfino prestato un bellissimo basto di legno e alcune bisacce in cuoio. È andata a finire che la superstar della situazione è diventato Todra, la gente voleva farsi fotografare più con lui che con noi, e il nostro compagno di viaggio si dimostrava molto socievole e coccolone, soprattutto con i bambini, nonché goloso di pane, castagne e mele.»
In quel mese e più di cammino le difficoltà pratiche non sono mancate, come ci racconta Marina: «Il Cammino di Santiago dispone di una vasta scelta di punti di sosta, dagli ostelli agli alberghi a cinque stelle; la nostra scelta è stata quella di ostelli parrocchiali o conventi, che si adattassero di più al nostro spirito, ma che soprattutto fossero attrezzati per Todra. In questi luoghi l’atmosfera è cambiata poco nel corso dei secoli, cibo compreso: zuppa, formaggio, e soprattutto pane e vino, tanto che un detto ricorrente tra i pellegrini di Santiago è “Pane e vino fanno il cammino”. I pellegrini sono molto rispettati, soprattutto in Spagna.»
Ma cosa si prova a passare tutto questo tempo indossando soltanto abiti storici? «Dopo un po’ ci si abitua, diventano i propri vestiti, come se li si indossasse tutti i giorni, – risponde Francesca. – Noi avevamo nel nostro bagaglio due camicie intime, due paia di calze, due vestiti, i nostri veli e un cappello di feltro a larghe tese ciascuna. Da questa esperienza abbiamo imparato che, se gli abiti storici sono tagliati e cuciti bene, possono reggere a tutto; noi li avevamo indosso anche per caricare e scaricare l’asino, non davano problemi nemmeno con la pioggia a 2 mm (oltre eravamo costrette naturalmente a fermarci). Un’altra cosa da notare è che, pur avendoli sempre indosso, non si sporcano praticamente mai: la sera li mettevamo fuori a prendere aria (dormivamo con la camicia intima), e il mattino dopo erano freschi e profumati come li indossassimo per la prima volta, tanto che li abbiamo lavati una volta sola. I mantelli di lana foderata ci sono stati molto utili sia con il caldo sia con il freddo, tant’è vero che abbiamo notato che non eravamo scottate come gli altri pellegrini. Anche le scarpe hanno retto bene, anche se c’era il piccolo trucco di uno strato di gomma per proteggerle dall’asfalto; certamente camminare con queste è più faticoso che con le scarpe da trekking, ma abbiamo notato che camminare “a passo di danza”, poggiando prima la punta, era più agevole, e aiutava anche in caso di mal di schiena. Le calze invece si sono letteralmente consumate in due terzi del viaggio: le abbiamo rammendate all’inverosimile, ma alla fine sono rimaste lì. È stata una nostra scelta quella di vivere il pellegrinaggio in condizioni il più possibile vicine a quelle di due autentiche pellegrine del Trecento, tanto che io personalmente sentivo il bisogno di indossare il velo perfino in ostello la sera a cena: di “moderno” avevamo soltanto il cellulare e il tablet per curare il blog, le ciabatte per la doccia, aspirine, tachipirina e voltaren per ogni evenienza; abbiamo perfino cercato alcuni compromessi come una pomata all’arnica, un dentifricio fatto secondo una ricetta di Santa Ildegarda e due “spazzolini” di legno.»
Ma qual era la reazione degli altri pellegrini che incontravate lungo il Cammino? «La domanda più ricorrente era “Siete delle suore?” – scherza Marina. – La voce si era sparsa in breve tra i pellegrini, negli ostelli volevano la nostra foto come ricordo; insomma, eravamo diventate vere e proprie star. D’altronde, nelle 6-8 ore di cammino che facevamo in media al giorno il ritmo dei passi era lento, e così il ritmo dei pensieri, c’era tutto il tempo per la condivisione e tanta voglia di capirsi nonostante le differenze; ricordo per esempio un ragazzo del Costa Rica che lungo la strada coglieva fiorellini per Todra. Al contrario, l’arrivo a Santiago de Compostela non è stato un momento così “sacro” come ce lo immaginavamo, dato che arrivammo nel bel mezzo di una gara podistica, tra pioggia e grandine; ad un certo punto, però, fece capolino l’arcobaleno, e io sono certa che fosse il benvenuto di Achille. Ottenemmo l’attestato di pellegrine, e, come nel XIV secolo, fu riconosciuto anche il pellegrinaggio “per interposta persona” all’anima di mio marito; lo avremmo voluto anche per Todra, ma non fu possibile, non avendo un animale, a quanto pare, un’anima immortale».
Quali consigli dunque darebbero due rievocatrici navigate come voi a chi volesse lanciarsi in un percorso simile? «Anzitutto di fare l’esperienza del Cammino di Santiago perché è uno di quei momenti che si ricordano per tutta la vita, – risponde senza esitazione Francesca. – Poi consiglierei di non usare l’abito storico solo nelle occasioni “pubbliche”, ma di “viverci” per tutto il tempo perché cambia la mentalità: portarsi naturalmente roba di qualità e fatta bene, e magari per le donne un paio di calze in più, un velo ampio e una cuffia di Santa Brigida».
Per chi volesse saperne di più, comunque, c’è sempre il blog “Due donne e un asino”, interessante non solo come diario di viaggio, ma come vademecum per chi volesse lanciarsi nell’esperienza del pellegrinaggio in abito storico.