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Vestire nel Medioevo

Recensione di Federica Garofalo

Negli ultimi anni, all’interno del mondo dell’editoria storica, soprattutto quella dedicata al Medioevo, si è assistito ad un crescente interesse per lo studio dell’abbigliamento e della moda: si tratta però soprattutto di lavori dedicati agli aspetti storico-sociali del vestire, all’evoluzione del gusto e al bagaglio di concetti ad esso sottintesi, in saggi di studiosi di tutto rispetto come Maria Giuseppina Muzzarelli in Italia e di Michel Pastoureau in Francia. Nell’ambito della rievocazione storica un simile approccio è certamente utilissimo per inquadrare i vari significati del vestirsi in un mondo totalmente diverso dal nostro, ma si ha l’impressione che il discorso resti sul piano puramente teorico, senza toccare alcuni aspetti pratici che ai rievocatori interessano molto: qual era la forma esatta di una cotta o di una giornea? Quali stoffe erano usate per confezionarle? Come venivano indossate?

Per questo, ultimamente hanno visto la luce una serie di pubblicazioni sull’argomento esplicitamente rivolte ad un pubblico di rievocatori, oppure scritti direttamente da loro, come nel caso del pionieristico volume Adla Magione del Tau di Andrea Guerzoni e Remo Buosi edito nel 2000 e poi nei 2004. Alla prima categoria appartiene il lavoro di Loredana Imperio, Vestire nel Medioevo, appena pubblicato dalle Edizioni Penne & Papiri nella seconda ristampa aggiornata.

L’intento del libro, dichiarato esplicitamente dall’autrice nell’introduzione, è fornire ai rievocatori una carrellata di materiali primari su abbigliamento, tessuti e accessori per il periodo che va dal 1000 al 1348, allo scopo di mettere in chiaro alcuni punti essenziali spesso travisati o ignorati proprio per la mancata analisi diretta delle fonti. La Imperio ci tiene decisamente anzitutto a demolire il mito di un Medioevo buio, misero e monocolore facendo sfilare davanti ai nostri occhi gli elenchi di abiti sontuosi e variopinti indossati ad esempio dalla corte di Francia della prima metà del Duecento in occasione del matrimonio del re Luigi IX o dell’investitura a cavaliere di suo fratello Roberto d’Artois, e sottolineando i lussi sfrenati cui le leggi suntuarie dei vari Comuni italiani tentano invano di porre un argine. Grande importanza viene data inoltre alla terminologia, fondamentale per chiarire alcuni equivoci come quello dell’impiego o meno nell’Europa medievale del velluto (sciamitum) o del cotone (bambacium).

Un capitolo intero è dedicato ai colori e alle tinture, e al valore ad essi dato dagli uomini del Medioevo, secondo una scala spesso radicalmente diversa rispetto alla nostra (il colore dell’amore per eccellenza, ad esempio, non era il rosso ma il verde); così come ampio spazio viene dato ai tessuti e alle loro tipologie, che rivelano un’insospettata varietà e ricchezza.

Sfogliando le pagine, scorrono davanti ai nostri occhi dettagliati elenchi di abiti e biancheria tratti da inventari e testamenti, compresi accessori come guanti, cuffie e cinture, il metodo di ricerca è scrupoloso e la bibliografia ottima; degno di nota è che non vengano prese in considerazione solo fonti provenienti Nord e dal Centro Italia, come nella stragrande maggioranza dei saggi sul tema, ma anche dal Sud e dalla Sicilia, sottolineandone la peculiarità dovuta alla sua storia e alle influenze arabo-bizantine.

Forse si avverte un po’ la mancanza di una maggiore accuratezza in alcuni aspetti di tipo materiale come ad esempio l’aspetto preciso dei capi di abbigliamento citati; in questo senso, una collaborazione più stretta con il mondo rievocativo attraverso un apparato iconografico un po’ più ricco fatto di esempi concreti avrebbe potuto contribuire a spostare verso la pratica del lavoro ricostruttivo un discorso che potrebbe rischiare di apparire troppo teorico, come d’altronde nella maggior parte delle pubblicazioni in tema. Questo è stato l’approccio adottato, ad esempio, dalla storica dell’arte e rievocatrice francese Tina Anderlini, nel suo lavoro Le costume médiéval au XIIIe siecle (Bayeux, Heimdal, 2014), che include anche proposte di ricostruzione di capi di abbigliamento sulla base di fonti scritte, iconografiche e archeologiche. Così come avrebbe potuto contribuire al medesimo scopo una maggiore periodizzazione, all’interno dell’arco di tempo prescelto dall’autrice, oggettivamente un po’ lungo.

Particolarmente interessante da questo punto di vista si rivela l’appendice firmata da Maria Grazia di Stefano, esperta di sartoria storica di lunga data e responsabile dell’atelier “Terra di Grazia”: per tentare di ricostruire un capo di abbigliamento medievale non basta un uso corretto delle fonti, ci avverte, siano esse scritte, iconografiche o materiali, ma occorre calarci in una mentalità artigianale totalmente diversa dalla nostra, sia nella scelta dei tessuti sia nel modo di disegnare, tagliare e cucire l’abito, oltre che nella scelta dei colori.

Vestire nel Medioevo resta dunque un ottimo strumento per chi si avvicina per la prima volta al mondo dell’abbigliamento e della moda medievale e cerchi un punto di partenza per approfondire, ma forse non sarebbe sbagliato auspicare che l’approccio di Loredana Imperio e quello di Maria Grazia di Stefano possano avere un dialogo più fruttuoso, sostenendosi e compenetrandosi a vicenda, magari in una ulteriore pubblicazione.

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