Maria Marini, scrittrice, ricercatrice, illustratrice, archeologa… un’autentica bomba di vitalità, ci racconta la sua esperienza di revocatrice storica.
Maria Marini, Maddalena in rievocazione, è una ragazza di trentasei anni, una sentinella “di frontiera” tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Laureata in lettere con indirizzo archeologia medievale all’Università di Padova, ha lavorato come archeologa sia in cantiere, sia nel Museo archeologico Medievale di Attimis (Udine), del quale ha curato l’allestimento di una delle stanze principali. Ha collaborato, come colorista, con il disegnatore Claudio Casti per la pubblicazione di alcune tavole (“De rebus gladiatoriis”, ed. Ars Dimicandi). Si occupa di incisione grafica con il torchio e disegna. Dal 2001 pratica la scherma antica con il Maestro Massimo Malipiero, e dallo stesso anno fa rievocazione storica con “La Compagnia dei Grifoni Rantolanti” di Pordenone, studiando sia il periodo duecentesco friulano che quello napoleonico; e, non contenta, sogna di occuparsi presto anche di rievocazione vichinga. Nel 2012 ha ideato e curato, con la Compagnia, il cortometraggio “1246: Racconti dal Patriarcato”. Nel 2013 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Buon sangue”, ed. La Ponga, ambientato nel Veneto della fine del XVI secolo, e sta lavorando al secondo, in uscita entro fine anno, con la stessa casa editrice.
Insomma, una pellegrina nella Storia a tuttotondo. E noi ci domandiamo: cosa si prova a viaggiare nel tempo attraverso vie così varie e diverse?
Lo abbiamo chiesto a lei.
“Cos’è che fai, te?” … Mi rendo conto di deglutire vistosamente, i colleghi mi osservano trattenendo un ghigno saccente. E adesso, come faccio a spiegarlo?…
Fare rievocazione storica significa ricevere l’etichetta: sei un nerd, in genere appassionato di elfi, di Conan o “roba” del genere, e passi i fine settimana con un costumino sintetico come se fosse sempre Carnevale. Se poi sei una femmina, di sicuro il tuo scopo sarà quello di emulare la principessa del feudo fatato, di indossare qualche abito di pizzo (la sagra del sintetico, la fiera del sacco dell’immondizia, la sfilata del divano della nonna) munito di scollo generoso, una collana da bigiotteria, e un bel paio di zeppe in corda, che fanno tanto, tanto medioevo.
Come posso spiegare cosa faccio?
Il pomeriggio è stato secco ma non afoso, il Maestrale ha portato via ogni goccia di umidità. Le mani mi tremano un poco: anni di allenamento, i venerdì sera, spada e scudo, con il Maestro. Anni di libri, letture, miniature, discussioni attorno a documenti storici non sempre chiari, ma così affascinanti da rapire me e i miei compagni d’arme. L’impegno per dimostrare che le donne combattevano, eccome se combattevano, nascoste e silenziose, tra le righe dei documenti antichi, tra le schiere dei crociati.
Serate intere a cucire il Gambeson, a costruire cotte di maglia e bollire cuoio, per sperimentare, osservare, provare e rifare semmai tutto daccapo.
E ora, chiusa nella mia armatura, sento il mio stesso respiro contro gli anelli del camaglio, stringo la cintura ai fianchi, assicuro la daga.
Il Maresciallo entra nel nostro accampamento. “Mi raccomando, ghibellini, qui picchiano duro. Tenete la linea”.
Scendiamo in battaglia. La linea, il silenzio, i compagni vicini. Sento la loro emozione che si fonde con la mia. Le urla, il cozzo, la polvere, il combattimento, gli ordini dei comandanti, il tentativo dello schieramento avversario di prenderci alle spalle, e noi in terza linea a coprire la prima, compatti, affaticati, uniti. Il rumore sordo degli scudi contro le lance, il clangore delle nostre spade.
E mentre sono a terra, caduta in combattimento, colpita da un avversario più che leale, riprendo fiato, guardo il cielo di Francia, sento gli applausi del pubblico e so che presto dall’accampamento si alzeranno grida di battaglia e i motti dei diversi gruppi, e berremo tutti idromele e birra di castagno, amici e nemici, e canteremo e accenderemo i fuochi della sera, e ogni angolo della mia mente si ubriacherà dell’odore di legna bruciata, della carne alla griglia, di quel cielo stellato e del Beauceant che sventola alto sulla cima della torre.
Indosserò il mio abito da donna, come sempre dopo la battaglia, e ne andrò fiera, come sono stata fiera della mia armatura.
Non è possibile, nemmeno con tutte le parole del nostro vocabolario, spiegare cosa significhi fare rievocazione storica.
E così, mentre il crocchio di colleghi mi guarda un po’ storto, e io non so ancora spiegare cosa ho fatto lo scorso week-and, penso che un rievocatore sia una specie un po’ a parte. Lo dico perché l’anno scorso a Londra, mentre con un paio dei “nostri” si rincasava in metropolitana da un pub dopo una giornata al British Museum, abbiamo notato, sulla nostra stessa banchina, un uomo con uno scudo vichingo in mano e un fascio di spade nello zaino, e nei cinque minuti di viaggio che abbiamo condiviso, prima che le nostre strade si dividessero, abbiamo parlato con lui fitto fitto, gli occhi luccicanti, di rievocazione e di gruppi e di combattimento, come se lo conoscessimo da una vita.
Il rievocatore è una specie a parte. A volte, fuori dal suo accampamento, dal campo di battaglia, dalla tenda, si sente un po’ spaesato, o se non altro non del tutto compreso.
Il rievocatore siede attorno ad un tavolo coi compagni d’arme, e ricorda le vecchie imprese, per poi finire a progettarne di future, nonostante le difficoltà, le incomprensioni da parte della gran parte del mondo amministrativo e accademico (almeno, in Italia…).
Legge, legge tanto, dai trattati ai romanzi, e sconfina in certi casi nel fantasy per prendersi una piacevolissima pausa, ben sapendo che fantasy e storia sono due cose ben distinte, nessuna migliore o peggiore dell’altra.
Continua ad allenarsi a scherma, col Maestro, inizia ad interessarsi ad un nuovo periodo storico, si appassiona ad esso e si ingegna, gira i mercatini e le bancarelle, mette da parte i risparmi per una spada nuova, un arco, un telaio, un set di aghi in osso; acquista le stoffe più adatte, fa impazzire la sarta che vorrebbe tanto mettere cerniere ovunque e non capisce ancora come mai sia così proibito farlo: <<tanto non le vede nessuno!
Ma torniamo ai campi rievocativi Maria, perché è questo che noi di Rievocare vogliamo sapere più di tutto. “Rievocare la storia per riprendersi il tempo risparmiato”. Cosa intendi con questa frase?
Cala la sera sull’accampamento. La calura umida della giornata estiva lascia spazio finalmente ad alcune folate di una brezza fresca che vengono dal lago o da una delle verdissime valli che circondano quel grande specchio dalla superficie increspata che ora riflette il colore del cielo chiarissimo di una sera di agosto.
Assaporo ogni suono che mi circonda, ogni odore. Domenico sta seduto davanti al braciere, e con un ferro lungo in mano e un guanto di cuoio bada attentissimo e silenzioso il fuoco che inizia a sprigionare un forte calore e alte fiamme.
Nell’accampamento c’è un gran da fare per il preparativo della cena, tra il cozzare di scodelle di legno e le voci che si perdono nel buio calato sul prato, gli alberi e le montagne.
Il parco verde, popolato da molti altri rievocatori come noi cambia aspetto, e le tende bianche diventano mosse dalla luce gialla dei bracieri e dei fuochi, un vociare sempre più acceso cala sul lago e sul canneto alle spalle della nostra tenda: il suono di un flauto lontano, la voce di Erica che dietro al tavolo canticchia incurante canzoni antiche mentre taglia il formaggio e prepara la cena.
Qualcuno parla, una battuta e si alza uno scroscio di risa che svanisce lentamente.
Dio, che bello!
Pressoché ignorati, piuttosto derisi e molto più raramente oggetto di curiosità, da tanti anni noi rievocatori cerchiamo di dare, ciascuno a modo proprio, un significato alla parola “rievocazione storica”, sfogliamo la pagine dei libri di storia alla ricerca quasi ossessiva di dati, informazioni, di nozioni su vestiti armi e armature, tecniche di combattimento e note musicali. Da tanti anni ci diamo da fare per portare in giro per l’Italia lo spettacolo della Storia. Lontano il più possibile dai diversi Robin Hood in calzamaglia, dai portatori seriali di espadrillas, dai cultori del sintetico e della tappezzeria del divano.
Molti mi chiedono il motivo della mia passione perché non la capiscono.
Anch’io mi sono fatta spesso questa domanda e di risposte ce ne sono diverse.
Il motivo principale, tuttavia, che mi spinge a fare rievocazione storica, sta soprattutto nel tempo.
Non ne abbiamo molto a disposizione, durante la vita di tutti i giorni, a volte non ne abbiamo affatto, a volte lo usiamo male.
Cerchiamo però sempre di guadagnarne. Le cose che facciamo tutti i giorni, le progettiamo in modo da risparmiare tempo.
Cuciniamo sui fornelli, per non perdere tempo ad accendere uno scomodo fuoco, che richiede materiale e impegno. Al supermercato troviamo ogni sorta di cibo pronto. L’automobile ci serve per accorciare tempi e distanze, ed evitarci calli ai piedi o di prendere la pioggia, o di essere licenziati.
Risparmiamo moltissimo tempo. Usiamo e gettiamo moltissime cose.
E cosa ne facciamo del tempo che abbiamo risparmiato?
Lavoriamo otto ore al giorno. Facciamo sport (poco). Lo dedichiamo alla famiglia, per andare al Luna Park o al centro commerciale o al cinema. Guardiamo la televisione, le partite o i programmi. Puliamo la casa. Facciamo acquisti, molti acquisti di cose a volte importanti, a volte meno.
Io ho il sospetto che ci sia un equivoco, un clamoroso equivoco.
Che forse il tempo che abbiamo con tanto impegno risparmiato, nella realtà l’abbiamo perso.
Abbiamo messo da parte un bene convinti di poterne usufruire, e invece è scomparso. Abbiamo perso la capacità di fare molte cose, quando per spedire un messaggio ci basta un dito, lo stesso che usiamo per accendere un fornello, o per avviare la lavatrice.
Abbiamo insomma perso la “Teche”, l’arte degli antichi greci, la capacità di saper fare, costruire con le proprie mani cose straordinarie e belle. La vera dignità dell’uomo.
Seguendo il filo di questo sospetto, divenuto da tempo un suono fastidioso e continuo nella mia mente, ho voluto recuperare il tempo che avevo tentato di risparmiare.
Ho acceso il fuoco nel braciere per farmi da mangiare. Mi sono costruita la cotta di maglia intrecciando durante lunghe serate invernali migliaia di anelli di ferro.
Ho ripreso a scrivere a mano, ri-allenando la mia mente a fare estrema attenzione, perché non avrei potuto cancellare gli errori con nessun tasto magico. E l’inchiostro è una cosa preziosa.
E ho scoperto che quel suono nella mia mente mi portava nella direzione giusta, perché la carne che cocevo su quel braciere aveva un altro sapore; quella cotta di maglia era un oggetto di straordinario valore, come la lettera che avevo appena finito di scrivere. Proprio perché il tempo che avevo dedicato a queste cose era molto, e queste cose avevano assunto un valore diverso e nuovo.
Ecco perché ci capita sempre più spesso di imbambolarci davanti alla televisione:
per dimenticarci del fatto che non sappiamo più costruire, usare le mani e la fantasia, non sappiamo nemmeno più avvitare una lampadina.
Per dimenticarci di quel vecchio con le mani raggrinzite e lo sguardo stanco che ci racconta che una volta facevano il fabbro, e lo sapeva fare bene: ma ora la sua arte, l’arte di una vita non serve a nulla, perché ci sono le fabbriche e le macchine. Le stesse che ci fanno risparmiare tutto quel tempo che stiamo gettando via.
Un’ultima vecchissima generazione che se ne sta davanti ad un bicchiere di vino rosso, cercando di ricordare i tempi in cui essere un uomo voleva dire saper fare le cose, e pensando che i giovani cavalcano allontanandosi sempre di più dal valore di una vita vera.
E noi, cara Maria, ringraziandoti per quanto hai voluto donarci, ci auguriamo che la rievocazione storica arrivi nel cuore di tutti e che insieme si possa percepire l’importanza del riprenderci il tempo!!